04/10/2010 da www.cgil.it«Un milione di persone – dice Guglielmo Epifani, Segretario Generale della CGIL – sta rischiando di non avere più un reddito: non il lavoro, non la pensione, non la Cassa integrazione o la mobilità». Un dramma sociale che si consuma lontano dai riflettori, «mentre il governo si occupa d’altro e galleggia». È l’Italia per la quale la crisi non è mai finita, mentre fanno capolino nel mondo del lavoro nuove forme di violenza.
Epifani, iniziamo dalle violenze. Due sedi CISL e una della Confindustria sono state colpite da uova e petardi lanciati anche da iscritti e dirigenti della FIOM. Saranno espulsi dalla CGIL?
«Rispetto a questi episodi la nostra condanna è stata assolutamente inequivoca. Sono gesti che non appartengono alla cultura democratica della CGIL. Naturalmente, mentre lo dico, mi rendo conto che le scelte degli altri, cioè della CISL e della UIL, sono sbagliate. Non si può destrutturare un contratto senza un rapporto democratico con i lavoratori. Queste scelte sono causa non secondaria del malessere operaio, che – sia chiaro – non c’entra nulla con la violenza. Il problema è che c’è una gigantesca questione di deficit di regole sulla rappresentatività e la democrazia sindacali. È un tema che va affrontato con urgenza. Non ci possono essere più rinvii, tentennamenti. Con CISL e UIL dobbiamo al più presto riparlarne perché altrimenti si corre dritti verso l’anarchia e la balcanizzazione dei rapporti sindacali. Detto questo, ci sono le regole all’interno della CGIL che vanno rispettate. Si aprirà un’istruttoria e si deciderà. Noi siamo più rigidi nei confronti dei dirigenti rispetto ai semplici iscritti. Comunque – giuste o sbagliate che siano le posizioni di CISL e UIL – non si può pensare di attaccare, intimidire, circondare una sede sindacale. C´è un limite tra la critica e i gesti di violenza».
Ci attende un autunno di violenza?
«Non lo so ma sono mesi che dico di abbassare i toni. E lo dico soprattutto agli esponenti di governo che hanno ideologizzato l’attacco alla CGIL. Tuttavia penso che tutti insieme abbiamo gestito con attenzione il malessere sociale che è derivato dalla recessione. Ora si deve stare molto attenti alle situazioni di crisi aziendali che sembrano senza sbocco. Lì, l’ansia e la disperazione possono portare a un conflitto sociale molto forte. Dico al governo e al Parlamento di occuparsi di questo. Bisogna innanzitutto rifinanziare la Cassa integrazione in deroga».
Sacconi ha detto che è d’accordo.
«Non basta essere d’accordo, questo è il momento di passare alle decisioni. Sono problemi urgenti e drammatici. Ci sono almeno 100 mila lavoratori che dalla mobilità non possono andare in pensione perché nel frattempo è aumentata l’età pensionabile. E poi i precari della scuola, del pubblico impiego, delle università. C’è quasi un milione di persone che rischia di perdere qualsiasi forma di protezione al reddito».
Molte delle divisioni nascono dal caso-FIAT. Non crede che Marchionne avrebbe potuto essere proprio un vostro alleato per rilanciare il lavoro industriale?
«Fino a un anno fa Marchionne è stato un uomo del dialogo che ha anche contribuito a temperare le spinte oltranziste presenti nella Federmeccanica. Poi la situazione all’interno della FIAT si è complicata e questo l’ha portato a compiere alcune forzature. Resta il fatto che sul progetto Fabbrica Italia c’è l’incertezza più assoluta: non si sa che cosa si produrrà nei nostri stabilimenti. Il punto è che per costruire un progetto si deve partire dal prodotto e non da come si confeziona il prodotto. Questo, a mio parere, è stato il punto debole della FIAT».
Domani (oggi per chi legge, ndr) comincerà il confronto tra tutte le parti sociali sulla competitività. Qual è l’obiettivo CGIL?
«Pensiamo che ci siano alcune misure che vadano prese con urgenza: riguardano le condizioni del lavoro e la politica industriale. Poi vanno affrontati gli altri capitoli: fisco, mezzogiorno, innovazione e ricerca».
Materie che chiamano in causa il governo. Siete disposti a un negoziato e poi a un accordo con il governo?
«Intanto sarebbe importante che tutte le parti sociali convenissero sulle soluzioni da dare e le proponessero al governo e al Parlamento».
Quindi non esclude un accordo con il governo?
«La CGIL non ha mai escluso niente. Il problema è che fino ad oggi il governo non ha avuto la percezione della gravità della situazione sociale e produttiva del Paese».
Tra un mese lascerà la guida della CGIL. Avrebbe mai pensato di lasciarla così distante dalla CISL e dalla UIL?
«Mai! Per me che ho avuto come bussola l’unità sindacale è proprio l’ultima cosa che avrei immaginato. Le strade si sono divise ma – sono convinto – non per responsabilità della CGIL».
Nemmeno per una parte?
«Di fronte alle scelte di fondo rispondo di no. CISL e UIL hanno via via smarrito il profilo della loro autonomia e spesso contraddetto le scelte che unitariamente avevamo fatto, dal fisco alle pensioni, dalla democrazia sindacale alla rappresentanza». |