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Camusso, Monti fa propaganda. Ora serve un governo del lavoro

di Ufficio Stampa CGIL Siena | Gennaio 14, 2013

Camusso, Monti fa propaganda. Ora serve un governo del lavoro

In una intervista al quotidiano ‘l’Unità’ la leader della CGIL sottolinea come “il gioco del premier è solo un’operazione identitaria a fini elettorali” ed avverte “d’ora in poi eviteremo di commentare. Un esecutivo si giudica per quello che ha fatto”. Per uscire dalla crisi, dice Camusso “non si può né tornare a negarla, né semplicemente constatarne l’esistenza: l’obiettivo primo per il governo dev’essere non solo difendere il lavoro, ma soprattutto crearlo”

13/01/2013 da www.cgil.it

«Questa campagna elettorale sembra un déjà vu: il continuo rimbalzare sull’Imu è un dibattito che ricorda quello sull’Ici del 2006 prima, del 2008 poi. È una campagna elettorale che non fa i conti con i problemi reali del Paese, con il tema della progressività e della redistribuzione fiscale, che è molto più complesso di come viene affrontato. E connesso a questo, c’è il tema del lavoro, presente solo a sinistra, ma assente nei ragionamenti di tutti gli altri». Par Susanna Camusso, segretaria della CGIL negli anni della crisi più feroce del dopoguerra: il 2013 si è appena aperto, portando nel vivo la campagna elettorale, mentre tutte le organizzazioni economiche lo prevedono anche peggiore dell’anno precedente. Con una premessa, che riguarda il presidente del Consiglio uscente Mario Monti:

«La nostra scelta politica dice Camusso è di non commentare più questa modalità che ha adottato con cui cerca di praticare una tecnica propagandistica. Primo, perché è un alibi per non parlare di quello che intende fare, secondo perché il governo si commenta per quello che ha fatto e non per le polemiche che suscita».

Sta dicendo, quindi, che non intende più entrare nel merito delle accuse che Monti fa alla CGIL, di essere un sindacato conservatore?
«Esatto. Il suo gioco è solo un’operazione identitaria a fini elettorali, invece che di delineazione di un programma, soprattutto rispetto alla grande questione sociale del Paese. È una modalità di propaganda elettorale da manuale».

Veniamo ai temi che la CGIL pone alla politica. Avete in calendario la Conferenza programmatica il 25-26 gennaio, e lì discuterete nel dettaglio le proposte per un piano per il lavoro: ma intanto che cosa chiede la CGIL ai partiti in campagna elettorale, in particolare del centrosinistra?
«Per uscire dalla crisi non si può né tornare a negarla, né semplicemente constatarne l’esistenza: bisogna arrivare finalmente a delle soluzioni, partendo dal fatto che il governo e le sue scelte sono essenziali. L’obiettivo primo dev’essere non solo difendere il lavoro, ma soprattutto crearlo. Un miliardo e passa di ore di cassa integrazione parlano di un processo di deindustrializzazione già in atto, il 37% di disoccupazione giovanile è un dato drammatico: il tema è creare lavoro, con uno straordinario sforzo e uscendo da una stagione di sterile ideologismo di discussione sulla dicotomia pubblico-privato».

Per muoversi come?
«La crisi è anche un’opportunità, quella di ripensare al Paese e al suo modello di sviluppo, con una discussione concreta a partire dal fatto che, se non abbiamo grandi risorse di materie prime, disponiamo comunque di straordinarie ricchezze. Iniziamo dalla vere risorse, tra cui un’alta qualità dell’istruzione, nonostante tutto. Questo è un Paese che ha bisogno innanzitutto di rimettere in piedi se stesso, attraverso potenti opere di bonifica del territorio, di risanamento, che ha bisogno di prevenzione e non di interventi congiunturali a tampone. Dove il sistema industriale deve riflettere sulle proprie responsabilità nell’aver spostato tanta parte degli investimenti dalla produzione alla rendita. Ci vuole una visione strategica: la ricetta anticiclica dell’incentivazione dei consumi può al massimo valere nell’immediato, ma per risollevarsi è essenziale pensare a direttive valide sul lungo periodo. Una proiezione del made in Italy, ad esempio, e dei beni culturali ed ambientali. Bisogna ripartire dalla risorse vere, appunto. Con un orizzonte di programmazione che dev’essere ampio».

Sul breve periodo, peraltro, il quadro è fosco: dal punto di vista del tasso di disoccupazione e del reddito disponibile, il 2013 si presenta peggiore del 2012.
«Sul piano delle questioni sociali lo sarà sicuramente, anche perché stiamo ormai sommando quattro anni di crisi pesante. Data la sua profondità e il suo carattere strutturale, la crisi non si risolverà in poco tempo, gli effetti peseranno sul lungo periodo, e risalirne la china sarà una questione complessa. Bisogna dare dei segnali anticiclici, e anche di cambiamento culturale, a partire dall’affrontare il tema della democrazia e della rappresentanza. Ci vogliono politiche che programmino, favoriscano, inducano. E spendano, anche. Perché le risorse finanziarie, con una fiscalità progressiva, una forma di tassa patrimoniale, l’allentamento selettivo del Patto di stabilità, si possono trovare».

Il nuovo governo, insomma, dovrà muoversi su un doppio binario: affrontare le emergenze da un lato, immaginare una nuova politica industriale ed economica dall’altro.
«È così. Faccio un esempio: sul breve periodo, è chiaro che il nuovo governo dovrà occuparsi di Finmeccanica, ma in prospettiva deve indicare e programmare il processo di trasformazione verso la chimica verde. Dovrà discutere l’universalità degli ammortizzatori, ma intanto garantire le risorse per la cassa in deroga».

La crisi è italiana, ma è anche internazionale.
«Nel 2014 si vota per il Parlamento europeo, e l’obiettivo dev’essere di cambiamento sia nel ruolo del governo dell’Europa, sia nella rigida politica adottata del rigore e del rientro dal debito».

Come vede un Pd che candida l’ex direttore generale di Confindustria Galli e il numero due della CISL Santini, continuando, anche con la vittoria di Bersani, ad avere un forte radicamento a sinistra?
«Che ci sia un contributo da parte di altre organizzazioni sindacali e sociali mi sembra un bene. E credo sia giusto chiamare a concorrere tante forze diverse che, anche se possono dare vita a qualche contraddizione, danno comunque il segno della centralità del lavoro».

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