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Camusso, la Cgil non ha governi amici
di Ufficio Stampa CGIL Siena | Maggio 12, 2014
12/05/2014Intervista alla leader della CGIL su ‘l’Unità’ dopo il congresso nazionale: “Abbiamo parlato al Paese, analizzato le condizioni dell’economia e del lavoro, abbiamo dato conto lealmente delle nostre difficoltà”. Susanna Camusso fa il bilancio del congresso Cgil. E sul rapporto con Renzi invita a uscire dalla caricatura: “Non abbiamo governi amici”
«Viviamo un momento difficile, con tanti problemi, perché il sindacato sta in mezzo alle persone che oggi in Italia soffrono, combattono, sperano in un mondo migliore. Non ci fanno paura le difficoltà finché saremo capaci di cambiare, assieme ai lavoratori che organizziamo e rappresentiamo».
Susanna Camusso ha chiuso il congresso nazionale della Cgil, mantiene la guida della più grande organizzazione sindacale italiana. Dal dibattito, a volte duro e aspro come si conviene nelle grandi strutture di rappresentanza sociale, dalle conclusioni, il segretario della Cgil trae alcune linee precise per il prossimo futuro. Camusso, che congresso è stato? «È stato molto impegnativo perché il sindacato è in difficoltà, perché la crisi economica e le tensioni sociali si fanno sentire, perché i rapporti con i lavoratori sono contrastati. Perché la recessione ha prodotto lacerazioni nella società, sui luoghi di lavoro, ha alimentato problemi, paure, ansie. La Cgil vorrebbe fare di più, di questo abbiamo discusso e su questo ci impegniamo». Molti osservatori, anche nel mondo politico, hanno semplificato il congresso nello scontro tra la Cgil e il governo Renzi o nel contrasto tra Camusso e Landini… «È stata una valutazione sbagliata, nel dibattito congressuale c’è stato molto di più. Abbiamo parlato al Paese, analizzato le condizioni dell’economia e del lavoro, abbiamo dato conto lealmente delle nostre difficoltà. La discussione è stata importante, molto forte, ed è stata molto sindacale: sulla contrattazione, sulle priorità da seguire, sulle vertenze da aprire, anche sul rapporto col governo, certo. Ma chi racconta il nostro rapporto con Renzi dovrebbe uscire dalla caricatura». Quali sono le scelte del congresso? «Sono scelte impegnative. Vogliamo rilanciare la contrattazione per battere la precarietà, per fronteggiare la piaga del lavoro povero, per riformare gli appalti, per garantire ammortizzatori sociali efficienti e vogliamo lanciare una vera battaglia sulle pensioni. La convergenza di Cisl e Uil è un fatto molto positivo». La confederalità esce rafforzata dal congresso oppure no? «La confederalità è nel dna della Cgil. Ma abbiamo qualche problema: il congresso ha messo in evidenza la necessità di ripensare la nostra presenza organizzata sul territorio, di organizzare in modo più proficuo la partecipazione dei delegati e dei territori. Alcuni interventi hanno parlato di mescolarsi sul territorio, di trovare nuove strade di organizzazione per superare la solitudine o l’isolamento dei lavoratori. In questo ambito la battaglia contro il lavoro povero sarà determinante. La Cgil deve esser capace di proporre e praticare una contrattazione inclusiva, che raccolga soggetti finora esclusi, sfruttati e penalizzati». Forse è la struttura organizzativa del sindacato che mostra dei limiti. Grandi non significa sempre efficaci.«Dobbiamo aggiornarci, non ci sono dubbi. Dobbiamo ridurre tempi, rafforzare i rapporti con le assemblee di base e raccogliere le esperienze e sollecitazioni che ci vengono dai nostri delegati. Una commissione di studio si occuperà di fare delle proposte». Il congresso era partito con una mozione unitaria superiore al 97%, si è chiuso con una maggioranza dell’80% e una minoranza ben chiara. Cosa è successo? «È una conclusione che non mi preoccupa. La Cgil è un luogo plurale, dove ci sono e si confrontano, anche aspramente, idee diverse. Non conosco e non ricordo congressi della Cgil senza dialettica, senza posizioni distinte. Questa è la nostra ricchezza. I voti evidenziano la discussione che c’è stata, la diversità di posizioni su alcuni temi importanti come la rappresentanza». Qual è stato il fatto che più l’ha preoccupata nelle giornate di Rimini? «Mi hanno preoccupato certi toni, certe parole che sono fuori dalla nostra cultura e dalla nostra storia. Mi preoccupa l’eccessiva personalizzazione del confronto, ci vedo una particolare tensione, pericolosa anche». E l’emozione più forte? «Mi sono emozionata per l’appello di Mirko di Piombino, per la passione di una delegata sarda, per le parole di un delegato di una cooperativa: giovani che hanno parlato di che cosa vuole dire lavoro povero, l’altra faccia della precarietà, che hanno parlato dell’importanza di avere il sindacato». Lei e Landini vi siete chiusi in una stanza, come chiedeva Mirko? «No, perché le questioni non sono personali, sono ‘collettive. I problemi non si risolvono tra due persone. Quello che conta è la Cgil. Vorrei che la personalizzazione, un’eccessiva dose di leaderismo, fossero ridimensionati». Per questo ci sarà un segretario generale aggiunto o un vice? «Vedremo. Deciderà la Cgil. Sono a favore di una maggiore collegialità, contro l’eccesso di individualismo. Troveremo la soluzione migliore». Renzi non è venuto, è un caso politico? «Ognuno fa le scelte che crede. Molti hanno pensato che l’assenza di Renzi significasse una rottura col sindacato. Noi lo vedremo dalle azioni del governo. Per la Cgil non ci sono governi amici, siamo abituati ormai da anni a valutare il merito dei provvedimenti. L’intervento Irpef, ad esempio, è positivo. Bene. C’è stata una lunga stagione di trasformazione politica, nelle fabbriche non ci sono più sezioni di partito, cellule, non ci sono travasi, il sindacato difende la sua autonomia, la politica fa le sue scelte». E la concertazione, il confronto? «La Cgil non cerca posti a tavola, noi rappresentiamo tante persone, siamo un pezzo del Paese. Ci interessa che la rappresentanza sia riconosciuta, anche se in passato alcuni governi volevano scegliersi gli interlocutori preferiti. La Cgil non ha mai preteso un potere di veto, ha sempre rispettato le decisioni del Parlamento. Naturalmente siamo in campo e non faremo sconti a nessuno. E poi, scusi, se avessimo avuto il potere di veto le pare che sarebbero passate la riforma delle pensioni e il decreto lavoro?». La Cgil aveva criticato il decreto lavoro già nella prima versione, ora dopo il trattamento Ichino-Sacconi al Senato, qual è il vostro giudizio? «Molto negativo. Il provvedimento è peggiorato, è un brutto inizio. Ora vedremo come si configurerà la delega sul lavoro. Discuteremo un eventuale ricorso in Europa». Sorpresa delle tangenti a Milano? «Sì e no. Speravo che un evento internazionale come Expo fosse al riparo da questo pericolo. Ma la Cgil lanciò l’allarme su certi appalti già nel 2005: facemmo un esposto alla Corte dei Conti su Infrastrutture Lombarde. Nessuno ci ha dato ascolto».
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