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Jobs Act: Sorrentino, nato con le migliori intenzioni, avrà effetti devastanti sul piano sociale
di Ufficio Stampa CGIL Siena | Febbraio 17, 2015
Jobs Act: Sorrentino, nato con le migliori intenzioni, avrà effetti devastanti sul piano sociale
da www.cgil.it
17/02/2015 Alla vigilia dell’incontro al ministero del Lavoro, e a pochi giorni dal Cdm che dovrà approvare il decreto sulla ridefinizione dei contratti, la segretaria confederale incontra i lavoratori dell’Isfol per un’assemblea sul provvedimento lavoro.
Era nato con i migliori propositi, affrontare la piaga della precarietà eliminando la linea di divisione tra lavoratori di serie A e di serie B, condivisi e sostenuti dalla Cgil. Si è rilevato col tempo essere un provvedimento per “indebolire la funzione della contrattazione”, “con effetti devastanti sul piano sociale”. Alla vigilia dell’incontro presso il Ministero del Lavoro per il nuovo decreto sul Jobs Act, quello sul riordino delle tipologie contrattuali, e a pochi giorni dal varo di quest’ultimo in Consiglio dei ministri (previsto per il 20 febbraio), il segretario confederale della Cgil, Serena Sorrentino, ricapitola aspetti e criticità del Jobs Act in un incontro promosso all’Isfol.
Un momento di riflessione generale sul provvedimento lavoro, all’interno di un istituto anch’esso direttamente coinvolto per quello che dovrà essere l’ultimo decreto delega del Jobs Act, ovvero l’agenzia per l’occupazione. Serena Sorrentino, reduce da un ‘tour’ di seminari sindacali in giro per il paese sul Jobs Act, parte da una considerazione generale: “Il Jobs Act era nato con un impianto molto condivisibile: un disegno di riforma organico di capitoli che da troppo tempo chiedevamo vedessero un riassetto, anche in relazione della legge 92/2012 (la legge Fornero di riforma del mercato del lavoro, ndr): implementazione delle politiche attive e universalizzazione di quelle passive, riordino e semplificazione delle tipologie contrattuali, allargamento ed estensione della disciplina dei congedi non soltanto parentali”.
Tutto giusto in teoria, ma nella realtà qualcosa non torna: “La traduzione di questi titoli – ha precisato – sconta sicuramente delle pressioni di ordine politico e un cambio di approccio da parte del governo che nulla ha a che vedere con il mercato del lavoro ma che riguarda la politica economica e la crescita”. Di fatti, ha spiegato Sorrentino alla platea di ricercatori dell’Isfol, “più che la legge 183 (il Jobs Act, ndr) è la legge di Stabilità ad indicare la direzione di marcia”. Il riferimento è, in questo caso, “alla riduzione strutturale delle risorse destinate al lavoro; al fatto che vincoli molte più risorse ad un sistema perverso di incentivazione, come quello dell’esonero contributivo sul nuovo contratto a tutele crescenti; al delegare alle imprese il tema della ripresa degli investimenti con la contestuale dismissione del ruolo dello stato in questo segmento”. Un orizzonte che si poggia su di un’altra gamba: la svalutazione del lavoro, sia nel pubblico che nel privato, che questo governo ha messo da subito in campo, a partire (rispettivamente) dal decreto Madia e Poletti.
Entrando invece nel merito del Jobs Act, e dei primi due decreti approvati, il contratto a tutele crescenti e la Naspi, Sorrentino ha così affrontato questi elementi: “Si ristruttura il contratto a tempo indeterminato, attraverso un provvedimento che tratta solo la materia dei licenziamenti, e fa un’operazione, di solito sottovalutata, di ridefinizione della forma di lavoro comune nel nostro paese”. Il contratto a tempo indeterminato diventa strutturalmente precario, secondo Sorrentino, che così motiva: “In ragione del fatto che cade la tutela reintegratoria con una una prevalenza della misura dell’indennità, parametrata all’indennità di servizio, e attraverso la sterilizzazione della funzione del giudice, limitata al mero calcolo dell’indennità resarcitoria”. In più, sui “licenziamenti soggettivi si interdice la valutazione del giudice nella proporzionalità della sanzione”. Ecco che quindi, secondo la valutazione della dirigente della Cgil, “la funzione di questo contratto cambia in ragione del fatto che la dinamica delle tutele crescenti temporalizza per l’impresa la convenienza del licenziamento”.
Secondo aspetto, la conciliazione obbligatoria che cancella il rito Fornero. “Nonostante non esistano statistiche nazionali sulle cause di licenziamento che ci possano dare indicazione sui tempi di giustizia – ha affermato il segretario confederale Cgil -, i dati dei singoli più importanti tribunali ci dicono che con il rito Fornero siamo passati da cause di lavoro che duravano mediamente tre anni a sei mesi di risoluzione del contenzioso. Dal punto di vista meramente temporale il rito Fornero è stato efficace. Non è un caso che nel Jobs Act viene impedito il ricorso a questo rito per i licenziamenti senza giusta causa e viene sostituito con l’opzione per il lavoratore di ricorrere all’offerta di conciliazione”. Conciliazione non assistita, parametrata alla metà di quanto avrebbe in teoria preso se avesse ricorso al contenzioso (ma dai tempi lunghi), esentasse e senza contributi previdenziali. Insomma, “pochi maledetti e subito”, che costituisce “un forte deterrente al ricorso giudiziario” e allo stesso tempo introduce una preoccupazione legata ad un inevitabile aumento della soglia di ricattabilità del lavoratore soggetto a licenziamento facile (che sia più o meno legittimo) e ricorso ‘interdetto’. Insomma si ristruttura completamente, e lo si indebolisce, il contratto a tempo indeterminato e ne fa parametro di riferimento per la semplificazione delle altre tipologie. Ed è proprio sulla bassa indennità risarcitoria, che non funziona come deterrente, che la Cgil sta riflettendo per cercare di scardinare quest’impianto.
Altro elemento dirimente, la questione appalti. Su questo punto, che la Cgil sta affrontando con una campagna specifica di raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare sul tema, la garanzia dei trattamenti dei lavoratori impiegati negli appalti privati e pubblici; il contrasto alle pratiche di concorrenza sleale tra le imprese; la tutela dell’occupazione nei cambi di appalto. Per quanto riguarda il decreto sugli ammortizzatori sociali, Sorrentino ha speigato: “La Naspi, rispetto alla vecchia Aspi, ha una copertura inferiore per la modalità di décalage, pensato come disincentivo al ritrovarsi in una situazione di disoccupazione involontaria. Un disincentivo che potrebbe funzionare in un mercato del lavoro dinamico ma, in una condizione come la nostra, è soltanto una scelta di riduzione di assegno per i lavoratori”. Così come sul fronte previdenza, “si sta strutturalmente si sta programmando il fatto che i lavoratori più deboli hanno una doppia penalizzazione anche dal punto di vista previdenziale”.
Per chiudere, questo complesso di aspetti, insieme al tema del demansionamento e del controllo a distanza, sottende la volontà non solo di ridimensionare diritti e tutele ma di intaccare la funzione contrattuale per via legislativa. Da qui il giudizio complessivo, in attesa del varo dei prossimi decreti: “Il Jobs Act ha un effetto diretto sulla contrattazione e un impatto devastante sul piano sociale. Offre strumenti molto ampi alle imprese per gestire le ristrutturazioni, mettendo insieme due elementi: lo Stato vuole ridurre i costi degli ammortizzatori sociali e delle tutele, e lo fa, e dall’altra, per compensare la riduzione degli strumenti per la riorganizzazione aziendale, incentiva la flessibilità in uscita e introduce lo stesso regime per i licenziamenti individuali e quelli collettivi”. Il che vuol dire svalorizzare il lavoro e prevedere quell’effetto devastante sul piano sociale. Infine, sul futuro dell’Isfol, strettamente legato all’Agenzia per l’occupazione, al momento nessuna novità ma si prevedono tempi lunghi, in stretta correlazione con la riforma costituzionale e la revisione del titolo V. All’istituto di corso d’Italia, nella triade livelli essenziali di prestazione, monitoraggio ed efficacia delle politiche attive dovrebbe toccare il monitoraggio, ma il decreto è, al momento, ancora lontano.
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