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Epifani: “La crisi è dura, ma il governo è fermo”
di Ufficio Stampa CGIL Siena | Agosto 21, 2008
L’intervista integrale rilasciata ieri da Guglielmo Epifani, Segretario generale CGIL, al quotidiano “L’Unità” (di Felicia Masocco):
C’è un’emergenza economica che in altri Paesi d’Europa porta a interrompere le vacanze per riunire gabinetti di crisi mentre in Italia si dice che tutto è già stato affrontato e risolto. «Qui la notizia è l’aumento delle ore di straordinario perché sono state detassate», afferma Guglielmo Epifani in un’intervista a l’Unità, «non si parla dei posti di lavoro che si perdono, del Sud che arranca». Qui si fa una manovra «depressiva» lasciando a sé stessi i redditi da pensione e da lavoro dipendente. Nell’attacco al mondo del lavoro c’è anche questo per il leader della Cgil. Che chiede il ritiro del licenziamento del macchinista Dante De Angelis, non difende chi non fa il proprio dovere, ma dice che Brunetta sbaglia a generalizzare. «Con l’equazione, pubblico-inefficiente, privato-efficiente si fa spazio a chi vuole che scuola, sanità e assistenza siano meno pubbliche e più private».
Dante De Angelis è stato licenziato per giusta causa. È un licenziamento giusto?
«No, secondo me no. Mi sembra che anche le reazioni lo confermino».
Per l’azienda ha detto il falso e l’ha danneggiata. Dov’è l’ingiustizia?
«Intanto quando Cipolletta, persona leale e seria, dice che le dichiarazioni di De Angelis hanno prodotto un danno di immagine alle Fs creando allarmismo, mi pare che finisca con lo scambiare le cause con gli effetti».
Cosa fa male alle Fs?
«Non le dichiarazioni di De Angelis, ma i disservizi verificati dai viaggiatori, i casi anche gravi, penso alla rottura dei mezzi. Come fai a licenziare un lavoratore, peraltro delegato alla sicurezza, per eccesso di drammatizzazione delle condizioni di sicurezza, quando queste riguardano gli utenti? Mi pare che la motivazione non regga».
Il licenziamento andrebbe ritirato?
«Si, non c’è dubbio. Tra l’altro mi pare che le Fs finiscano col fare un autogol perché al primo problema di sicurezza che dovesse esserci finirebbero ancora di più dalla parte del torto».
Pensa lo stesso degli otto dipendenti licenziati perché uno timbrava il cartellino per tutti?
«Non conosco bene i fatti, ma dico questo: se la timbratura del cartellino provoca un danno all’impresa il lavoratore ha una responsabilità molto grave. Se la timbratura dei cartellini non è fatta per lucrare sullo straordinario o sull’orario, è un fatto grave ma non della stessa gravità. I contratti prevedono per un diverso grado di responsabilità un diverso grado di sanzione. Non conosco nel dettaglio i fatti di Genova, però la regola generale deve esser questa».
C’è un giro di vite contro i lavoratori. C’è un filo tra i licenziamenti nelle Fs e il messaggio inviato dal governo attraverso il ministro Brunetta?
«Va premesso che per la Cgil chi non è difendibile, non è difendibile. Un sindacato non difende chi non fa il proprio dovere. Un sindacato che rivendica la tutela dei diritti deve aver chiara anche la cognizione dei doveri. Quindi i fannulloni, tantopiù chi truffa, chi provoca disservizi non trova sponde in Cgil. Anche perché queste persone danneggiano i colleghi. E vale nel pubblico e nel privato».
Detto questo…
«… Detto questo ci sono delle cose che non tornano. Per anni si è predicata un’equazione per cui pubblico è negativo e inefficiente e privato è positivo ed efficiente. È una raffigurazione ideologica, non corrisponde al vero. Vedo una campagna ideologica, molto liberista, mossa anche da interessi economici ben precisi, che ha alimentato un umore di fondo. Brunetta sbaglia non quando intende colpire, giustamente, chi non fa il proprio dovere, ma perché usa strumenti indiscriminati che finiscono per colpire chi fa il proprio dovere come chi non lo fa. Mentre la responsabilità è individuale e vanno usati strumenti diversi. Questa è la mia critica a Brunetta.
A quali interessi economici si riferisce?
«Se si dice che il pubblico è inefficiente, che brucia risorse, è chiaro che la scuola, la sanità e l’assistenza pubbliche vengono messe al servizio di chi ha interesse a lasciar spazio alla scuola, sanità e assistenza private».
Vale anche per le Ferrovie?
In questo caso non vorrei che i provvedimenti presi servissero a deviare l’attenzione dai problemi che ha l’impresa. Nelle Fs il sindacato ha determinato, con l’azienda, il più colossale piano di ridimensionamento occupazionale e di riorganizzazione di un’impresa italiana. I ferrovieri erano oltre 220mila una decina di anni fa, oggi sono 100mila. C’erano sacche di inefficienza, spesso con manager molto discutibili che non hanno operato bene ma che sono usciti con mega liquidazioni. Ora si tratta di capire se si vuole o meno affrontare la nuova fase con un rapporto positivo con il sindacato».
Complessivamente, vede un nuovo attacco al mondo del lavoro?
«Sì, ma non lo vedo solo in questi episodi».
In cos’altro?
«Il problema più grande che ha il Paese è la crisi economica, il rallentamento, l’aumento fortissimo della cassa integrazione, le crisi aziendali. Eppure la notizia di oggi è l’aumento delle ore di straordinario perché sono state detassate. È mai possibile che sia questa e non che si faccia questo intervento mentre si perdono posti di lavoro? C’è un rovesciamento ideologico, anche nella lettura della realtà. La crisi è europea, ma qui non si considera la gravità della situazione sociale e si guarda solo alle piccole cose che si riescono a realizzare».
Che autunno sarà?
«Il problema non è se sarà caldo o meno, ma che il Paese vivrà mesi sempre più difficili. Perché non si è lavorato per sostenere i consumi e i redditi, perché i pensionati stanno peggio, perché si perdono posti di lavoro e al Sud la situazione tende a peggiorare. Questo è il problema che il governo aggrava con la sua manovra depressiva. Va chiesto un cambiamento della politica economica e fiscale. Nessuno dice e scrive che mentre Francia o Spagna di fronte al rallentamento forte della congiuntura anche per il 2009 si interrogano su come farvi fronte, l’Italia considera già chiusa la sua manovra e parla soltanto di federalismo fiscale. Lì si interrompono le vacanze per riunire i gabinetti di crisi, qui si dice che tutto è già stato affrontato».
E si chiama il sindacato a fare la sua parte. È pronto?
«Intanto abbiamo il dovere di elencare le priorità in modo giusto. La prima è chiedere un cambiamento della politica economica e fiscale per sostenere i redditi e gli investimenti. Il governo considera chiusa la partita, noi non possiamo farlo. È poi aperta la trattativa con Confindustria sul modello contrattuale…».
… Confindustria chiede di far presto e Cisl e Uil le danno ragione.
«Io intendo fare la trattativa, però se Confindustria vuole programmare una riduzione del salario attraverso il contratto nazionale noi non saremo disponibili, né ora, né domani né dopodomani. E la discussione sull’indicatore dell’inflazione ha questo problema al fondo. Usare un indicatore meno sensibile, vuol dire programmare i rinnovi contrattuali al di sotto dell’inflazione reale».
La Cgil non ci sta e non ci starà, è pronta a lottare?
«Non c’è dubbio. La struttura contrattuale deve proteggere e far crescere i salari in tutte le sue componenti, nazionale e aziendale. Non si può pensare a indicatori che abbassino il valore del contratto nazionale».
Ma l’accordo è necessario per alzare la produttività.
«Sono due questioni che non stanno assieme. È evidente che il grosso della produttività deve stare a livello aziendale. Ma il problema di oggi non è più la produttività, è la dinamica dei prezzi e come riprendi l’inflazione che non è più il 2% ma il doppio, il nodo è il potere d’acquisto. Tantopiù che il governo non usa la leva fiscale, come unitariamente abbiamo chiesto, aumentando le detrazioni per il lavoro dipendente o restituendo il drenaggio fiscale che se mangia lo 0,6% significa che i lavoratori pagheranno più tasse. Il governo si è mosso lungo un crinale che non corrisponde più alle vere dinamiche economiche. Perché se il risultato è che il lavoro dipendente paga più tasse, è chiaro che si fa uno spostamento nella redistribuzione della ricchezza. Come fa il sindacato a essere d’accordo con una scelta di questa natura? Se l’unica cosa che il governo fa è la detassazione degli straordinari che parla a una platea limitata di persone e non affronta i grandi temi della redistribuzione, è chiaro che fa le sue scelte. La Cgil ritiene che non siano quelle giuste per il Paese».
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