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Pensioni: Indennità Ape sociale a rischio
di Ufficio Stampa CGIL Siena | Ottobre 14, 2017
Pensioni: Indennità Ape sociale a rischio – Inca, in arrivo una valanga di domande respinte
Dossier a cura dell’Area Previdenza di Inca nazionale
da www.inca.it – giovedì 12 ottobre 2017
Le cattive abitudini di Inps riaffiorano. Si avvicina il responso dell’Istituto previdenziale pubblico sulle oltre 60 mila domande di Ape sociale (15 ottobre) già presentate ma, considerando il numero di quelle respinte, l’appuntamento rischia di svelare amare sorprese per chi ne ha fatto richiesta. Numeri ufficiali non ce ne sono ma, assicura l’Inca, sono tutt’altro che irrisori. Secondo il Patronato della Cgil , ancora una volta, l’Istituto previdenziale pubblico si rende protagonista di interpretazioni eccessivamente restrittive delle norme, tali da ridurre in modo consistente il numero dei beneficiari dell’indennità Ape sociale a 63 anni di età, anche se sono nelle condizioni di particolare fragilità occupazionale. Un flop ampiamente prevedibile, secondo Inca, “a causa delle eccessive rigidità imposte da Inps, in contrasto con le intenzioni del legislatore e in alcuni casi addirittura contro legge, che rischia di vanificare del tutto le pur magre aspettative di reinserire qualche elemento di flessibilità nel sistema previdenziale italiano, più volte richiesto unitariamente da Cgil, Cisl e Uil”.
Con motivazioni diverse, in contrasto con le disposizioni della norma e del decreto applicativo relativo all’Ape sociale, il rigetto delle richieste da parte di Inps è tutt’altro che circoscritto a casi isolati. L’Inca, nell’analizzare le diverse segnalazioni che arrivano dal territorio, ne elenca alcune. La prima riguarda l’applicazione del requisito di riconoscimento dello stato di disoccupazione, indispensabile per poter anticipare il pensionamento a 63 anni. La norma stabilisce che possono fare domanda coloro che risultino in stato di disoccupazione a seguito di licenziamento, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale (art. 7 della legge 604/1966) e senza ammortizzatori sociali da almeno 3 mesi.
Traduzione di Inps: anche un solo giorno di rioccupazione, retribuito con voucher, successivo a tale periodo, fa perdere il diritto all’indennità Ape sociale, nonostante tale interpretazione confligga con quanto disposto dall’articolo 19 del d.lgs 150/2015, laddove si precisa che “sono considerati disoccupati i soggetti privi di impiego che dichiarano, in forma telematica, al sistema informativo unitario delle politiche del lavoro (…), la propria immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il centro per l’impiego”.
Secondo il Patronato della Cgil, “l’Inps, nel respingere le domande trascura le caratteristiche peculiari dei compensi percepiti a titolo di lavoro occasionale di tipo accessorio che, sin dalla sua prima formulazione normativa, è sempre stato un reddito esente da imposte, che non incide sullo stato di disoccupazione. Pertanto, il lavoratore che abbia reso la propria disponibilità all’attività lavorativa e alla partecipazione alle politiche attive, come vuole la norma, e che abbia i requisiti contributivi e anagrafici per l’Ape sociale (63 anni di età e 30 anni di contributi) ha diritto a tale indennità”.
Il principio, invece, cui si ispira l’Inps per giustificare il rigetto delle richieste è quello secondo il quale il lavoratore perde lo stato di disoccupato anche per un solo giorno di lavoro svolto successivamente ai tre mesi di fruizione degli ammortizzatori sociali.
Coerente con questa stessa rigidità sta respingendo le richieste di coloro che hanno svolto, dopo il periodo di percezione dell’ammortizzatore sociale, qualsiasi attività, anche se retribuita in misura inferiore ai limiti previsti per il mantenimento dello stato di disoccupazione. Una contraddizione palese “irrazionale e contraddittoria”, secondo l’Inca, considerando che l’indennità Ape sociale, per espressa previsione di legge (art. 8 del DPCM n. 88 del 23 maggio 2017), è compatibile con la percezione dei redditi da lavoro dipendente o parasubordinato nel limite di 8.000 euro annui e dei redditi derivanti da attività di lavoro autonomo nel limite di 4.800 euro annui.
A queste evidenti contraddizioni di Inps, il patronato della Cgil denuncia anche casi di richieste respinte addirittura “senza o con motivazioni generiche”, comunque tali “ da non consentire al lavoratore di difendersi in modo adeguato, nonostante il sacrosanto diritto del lavoratore di conoscere con precisione le motivazioni per poter chiedere un eventuale riesame della richiesta di Ape sociale”.
Analoghe segnalazioni di domande respinte provengono da lavoratrici e lavoratori licenziati, che non hanno potuto beneficiare dell’ammortizzatore sociale perché non avevano maturato i relativi requisiti o, più semplicemente, perché non avevano presentato domanda entro il termine di decadenza.
La situazione si complica ancora di più per le categorie dei lavoratori addetti ad attività gravose e rischiose, le cui richieste di Ape sociale devono ricevere il nulla osta sia del ministero del lavoro sia dell’Inail. Di tutto questo, nelle risposte dell’Inps, denuncia Inca, non c’è traccia. Le motivazioni indicate dall’Istituto sono talmente generiche da costringere gli operatori del Patronato della Cgil ad avviare una indagine approfondita per risalire alle ragioni del rigetto della domanda. “ Ed è evidente che questa corsa ad ostacoli – denuncia l’Inca – rende praticamente impossibile per il lavoratore poter chiedere nei tempi giusti (entro 30 giorni) il riesame della domanda respinta”.
Analogamente sono state bocciate le richieste di Ape sociale da parte di chi ha contribuzione versata in paesi esteri per effetto di una interpretazione fornita da Inps nella circolare applicativa n. 100/17 e ribadita nel messaggio del 31 luglio scorso, secondo la quale non si possono totalizzare i periodi assicurativi italiani con quelli maturati in Paesi Ue, Svizzera, SEE o extracomunitari, convenzionati con l’Italia. Secondo l’Istituto previdenziale le richieste non possono essere accettate perché l’Ape sociale è una indennità di natura assistenziale e non un anticipo pensionistico, come invece ha voluto intendere il legislatore. “Una interpretazione che – spiega l’Inca – non tiene conto dell’articolo 6 del regolamento 883/2004, laddove si afferma che ogni qualvolta uno Stato membro subordina il diritto ad una prestazione alla maturazione di periodi di assicurazione, di occupazione, di lavoro autonomo o periodi di residenza, deve tenere conto dei medesimi periodi maturati sotto la legislazione di ogni altro Stato membro, come se si trattasse di periodi maturati sotto la legislazione che essa applica”. Questioni, quest’ultime, già da tempo sollevate da Cgil, Cisl e Uil nel documento unitario presentato al Governo per l’avvio della “fase due” del confronto sulla previdenza.
I casi più eclatanti
Fabrizio – Voucherista per 3 giorni
Ha lavorato per circa 40 anni come lavoratore dipendente; dopo un periodo di Cassa integrazione, è stato licenziato fruendo dell’indennità di disoccupazione fino al 2013. Successivamente non si è più rioccupato né come dipendente né come lavoratore autonomo. Nel 2015, ha svolto una brevissima attività di lavoro occasionale accessorio compensato con voucher che gli ha fruttato circa 157 euro netti. La legge dispone che il reddito derivante da voucher non incide sullo stato di disoccupazione o inoccupazione. L’Inps, tuttavia, respinge la domanda di riconoscimento dei requisiti di accesso all’APE sociale con la seguente motivazione: “risulta versata contribuzione successiva alla fruizione della disoccupazione (lavoro accessorio anno 2015)” e gli nega il diritto a tre anni e mezzo di anticipo pensionistico in contrasto con le stesse finalità della norma.
Patrizia – Lavoratrice interinale per 2 giorni
Patrizia ha lavorato per 36 anni nel settore privato; nel 2014, è stata licenziata fruendo dell’indennità di disoccupazione ASPI. Dopo la conclusione del periodo di fruizione della indennità ha svolto per 2 giorni lavoro dipendente part-time, con un contratto di somministrazione, percependo una retribuzione netta di 256 euro. L’Inps respinge il riconoscimento dei requisiti dell’APE Sociale in quanto “lo stato di disoccupazione risulta interrotto dalla ripresa dell’attività lavorativa”. Tale posizione dell’Istituto contraddice quanto affermato dall’istituto stesso nella circolare INPS n° 100/2017 che, per la verifica dello stato di disoccupazione, indica la consultazione dei Centri per l’impiego. La lavoratrice non ha perso lo stato di disoccupazione avendo mantenuto un reddito ben al di sotto del limite previsto dalla norma sulle politiche attive del lavoro (8.000 €) per la perdita dello stato di disoccupazione.
Remo – Operatore ecologico impegnato in lavoro gravoso dal 2000
Remo è impegnato in attività gravosa da oltre 15 anni ed è, sulla base della dichiarazione aziendale e dell’estratto contributivo, in possesso di tutti requisiti soggettivi per il diritto all’Ape Sociale.
L’Inps respinge la richiesta del lavoratore sostenendo in modo eccessivamente generico che non risultano soddisfatti i requisiti chiesti dalla norma, senza specificare quale dei requisiti sarebbe mancante. Tale risposta generica costringe il lavoratore (e il patronato che lo assiste) ad operare una ulteriore serie di indagini rendendo impossibile un tempestivo riesame (30 gg) per la contestazione della reiezione.
Pasquale – Lavoro gravoso……o non gravoso?
Pasquale era un operaio edile da oltre 30 anni , con la qualifica di conduttore di gru e macchinari mobili. Ha svolto attività lavorativa per oltre 36 anni e da qualche mese è stato anche licenziato. L’Inps ha respinto la domanda di riconoscimento delle condizioni di accesso all’Ape con la seguente motivazione: “La qualifica professionale (…) presente nella comunicazione obbligatoria non corrisponde alla tipologia di attività gravosa indicata in domanda, ma è comunque ricompresa tra le tipologie di attività gravosa.” L’Inps poi aggiunge per iscritto che non esistono le condizioni previste dalla norma. Quale sarà la verità?
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